Per una psicologia della creazione del Mito

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Vorrei, prima di entrare nel cuore del mio intervento, riassumere alcuni aspetti centrali dello studio dei miti. Il mito è stato descritto come il tentativo dell’essere umano preistorico - tentativo che si è sedimentato e si è reso più concreto con l’avvento della scrittura - di spiegare in modo fantasioso ciò che non poteva comprendere razionalmente con la sua mente limitata, quegli aspetti misteriosi della realtà sui quali già aveva cominciato ad interrogarsi: da dove vengono i fenomeni e perché si manifestano in un certo modo. Inoltre la funzione del mito è quella di dare ubicazione nel tempo e nello spazio al soggetto umano, inserendolo nella storia, dotandolo di un senso, e di conseguenza contribuendo a costruire il suo senso identitario come individuo e come gruppo. Infine il mito ha sempre e comunque una funzione politica: non solo come racconto in cui emergono specifici rapporti di potere e si propagandano concezioni che giustificano una certa organizzazione sociale, ma anche perché un mito sorge a partire da determinate condizioni psicologiche e sociali degli individui e dei gruppi, emerge nutrendosi della cultura e dell’adesione di chi lo promuove, e si fa costruire da ciò che essi desiderano e vogliono cambiare: iI mito dunque come specchio della società e come progetto di cambiamento.

I miti sono oggetti complessi, sfaccettati, di cui possiamo cogliere molteplici caratteristiche. Ma come nasce un’immagine mitica? Da dove sono affiorati gli dèi uranici o il poderoso Shiva o anche solo il Minotauro greco? Non è sufficiente la sola immaginazione per dare credito ad un’immagine: non esiste un essere umano con la testa di elefante, ma la potenza di Ganesh non dipende dal suo aspetto insolito o irreale. Alcune teorie psicologiche hanno provato a descrivere in che modo emergono le immagini mitiche dalla coscienza e del perché tali immagini straordinarie riescono ad assumere una forza fatta di fede e di emozione.

Freud, precursore di un approccio psicologico ai miti, ha visto in essi la proiezione all’esterno di ciò che è interiore, li ha riletti come se fossero una descrizione animata delle dinamiche psichiche soggettive. Nel mito di Edipo, che ha dato il nome al complesso freudiano, in realtà ciascuno rivede sé stesso, i propri desideri e le inevitabili e conseguenti nevrosi. La costruzione di un mondo sovrannaturale formato da dèi ed eroi deve essere ritradotto in un mondo interno, dominio dello psicologico, conscio ma soprattutto, per Freud, inconscio. La forma letteraria del mito è il modo indiretto che l’essere umano utilizza per esprimere ciò che non può affermare in modo palese davanti alla società, pertanto ogni mito è carico di significati per l’inconscio, sede di tutte le rimozioni.

Jung ha visto nei miti l’espressione degli archetipi che vivono nell’inconscio collettivo di ciascuno di noi. Ogni essere umano, così come condivide con gli altri una medesima struttura fisica, così condivide un patrimonio di archetipi o forme archetipiche nella psiche. Gli archetipi sono immagini che indicano funzioni psichiche o modelli di comportamento, validi per la vita quotidiana ma soprattutto per quella spirituale. Con le parole di Jung: “La psiche contiene gli engrammi funzionali che da tempo immemore condizionano il comportamento umano. Gli engrammi si presentano sotto forma di immagini mitologiche simili in tutti i popoli, anche nell’uomo moderno”. I miti sono quindi l’espressione narrativa e visiva di un modo universale di funzionamento della psiche umana che attinge ad uno spazio che trascende la soggettività.

A questa visione si avvicina anche Mircea Eliade, il quale afferma: “La funzione fondamentale del mito è quella di stabilire i modelli esemplari di tutti i riti e di tutte le azioni umane significative”. La significatività delle azioni risiede nell’appartenenza al campo del sacro, di ciò che si svela al di là della struttura empirica e razionalistica del reale. Secondo Eliade, “il mito esprime plasticamente e drammaticamente quel che la metafisica e la teologia definiscono dialetticamente”, rivelando la struttura stessa del divino. Il mito quindi è un segno stesso di quello spazio e di quel tempo non ordinari che sono manifestazioni del mondo trascendente dello spirito. 

Silo prosegue su questa linea e afferma che i miti si formano traducendo in rappresentazioni i segnali provenienti dal Profondo, a partire da una particolare configurazione della coscienza detta “coscienza ispirata”. A questa speciale condizione afferiscono quelle esperienze spirituali di estasi, rapimento e riconoscimento che molti mistici e artisti hanno vissuto in relazione alle loro attività. Ma anche al di fuori della ricerca religiosa ed estetica c’è possibilità di esperire la coscienza ispirata: l’innamoramento e altri fuggevoli momenti in cui con animo poetico sgorgano da noi intuizioni, emozioni e comprensioni inconsuete, attimi in cui la realtà ci appare in modo nuovo facendo trasparire una struttura invisibile di senso e di amore. Questa è la disposizione psicologica in cui il mito può sorgere.

Proviamo ad immaginare i movimenti emotivi e cognitivi che possiamo provare in quei momenti di coscienza ispirata; possiamo immaginare, di fronte ad una notte stellata, la nostra comprensione chiara e globale dell’esistenza dell’Universo; possiamo immaginare un’improvvisa gioia o commozione che ci fa sentire in comunione con tutti; o anche esperire, con terrore o stupore, l’aprirsi di abissi della coscienza. Tutti questi sono “segnali del Profondo”, secondo Silo, e possono essere trasformati in immagini in accordo con gli schemi interpretativi di ciascuno. L’esperienza interna più profonda e più intensa si traduce in rappresentazioni, terribili oppure sublimi secondo la situazione psicologica in cui l’io della persona si trova in quel momento. In questo modo il materiale iconico del mito emerge dalla psicologia dell’individuo: nutrito da un’esperienza di grande ispirazione esso si plasma a seconda dei desideri, delle aspirazioni e delle paure che in quel momento fanno parte dell’orizzonte psicologico. Nelle immagini mitiche quindi si esprimono gli ideali e le necessità di un individuo, ed esse possono assumere valore di verità e di identificazione personale per l’esperienza interna che suscitano anche in altre persone. L’importanza dell’esperienza interna è evidente poiché è proprio questa a giustificare l’adesione emotiva potente e condivisa e l’allinearsi di interi gruppi intorno alla stessa fede. Questa dinamica interiore di esplorazione di registri eccezionali provenienti dal Profondo finisce per diventare il patrimonio comune di un popolo, costituito da vissuti spirituali e immagini sacre, dove “spirituale” e “sacro” sono l’indicazione di quell’esperienza ispirata dalla quale tutto è iniziato.

Il Profondo per Silo può essere accostato al concetto di Sé nell’accezione di Jung, o al Sé superiore della Psicosintesi: esso è ciò che oltrepassa lo spazio di rappresentazione dell’individuo, il quale è radicato nello spazio-tempo quotidiano, e cui non si può accedere se non indebolendo momentaneamente l’importanza dell’io come istanza attenzionale che centralizza su di sé tutte le operazioni di coscienza.

Già Maslow nelle peak experiences aveva rilevato che esse hanno la caratteristica di trascendere l’io, di portare ad una fusione con qualcos’altro che non è l’individualità soggettiva, ed inoltre sono caratterizzate da un modo particolare di esperire lo spazio e il tempo, anzi di non esperirli, poiché la persona sospende in quei momenti qualsiasi giudizio sull’estensione temporale e spaziale di sé e dell’esperienza. 

Jung aveva chiamato il percorso verso zone trascendenti con il termine ‘individuazione’, ad indicare un progressivo ampliamento della sfera cosciente dell’io verso il Sé, concetto complesso che comprende tutti i fenomeni psichici esperibili più tutto ciò che ancora non è rientrato nel campo dell’esperienza. 

Per Silo il Profondo dello spazio di rappresentazione non è un contenuto della coscienza individuale. L’accesso agli stati profondi della coscienza può avvenire solo senza la presenza dell’io, in una sorta di vuoto. Di questo vuoto non si può dire nulla. Solo si può arrivare a recuperarne il significato ispiratore una volta che l’io, tornato al suo posto, possa fare una “traduzione” di quegli impulsi profondi che percepiamo in modo differente rispetto alla percezione abituale. Grandi poemi e opere artistiche sono nate con l’intento di rappresentare le rivelazioni di quel mondo per condividerle con altri. Si tratta di esperienze di senso profondo della vita, che hanno operato a volte delle vere e proprie conversioni in chi le raggiungeva.

Questo può spiegare l’esistenza di miti simili in culture distanti. Poiché traducono lo stesso tipo di esperienza interna, a partire da una psiche che funziona nello stesso modo, considerando la condizione esistenziale umana essenzialmente orientata a risolvere il problema del vivere e del morire all’interno di un ambiente che -in qualsiasi punto del pianeta- rappresenta la fonte di tutte le resistenze da superare, ecco che si possono dare immagini mitologiche simili, come quella del diluvio universale che coglie la difficile comprensione di dover distruggere tutto per poter ricostruire in modo nuovo.

Il mito quindi nasce a partire dalla coscienza ispirata e poi si traduce plasticamente e drammaticamente attraverso il “sistema di tensioni vitali” a cui è sottoposto l’individuo o un intero popolo. Esso non è una risposta meccanica di fronte alle resistenze dell’ambiente, ma l’espressione delle aspirazioni e delle paure di quel determinato popolo all’interno dell’orizzonte storico in cui si muove. Il mito sorge per incanalare i comportamenti in una direzione determinata rispetto alle possibilità culturali e ambientali di cui si dispone. Nei momenti di grande necessità il mondo trascendentale può irrompere nel processo storico e rendere possibile il sorgere di un mito. Molte delle aspirazioni più grandi dell’essere umano provengono da quel mondo tanto significativo, e spesso, in momenti difficili e tragici della storia umana, è da quel mondo che sono arrivati i segnali di una nuova e possibile evoluzione. Anche oggi, nel momento della crisi di un’intera civiltà, molte persone hanno il forte desiderio e la reale possibilità di entrare in contatto con quel mondo da cui proviene ciò che di meglio l’essere umano ha manifestato nel suo passaggio fin qui, e che speriamo possa appartenere anche all’essere umano del futuro.
Allora oggi, in un’epoca di enormi cambiamenti psicosociali, in un momento storico in cui le tensioni vitali della nostra specie sono più complesse e più interconnesse che mai, quale mito potrà sorgere in quest’orizzonte storico globalizzato? O meglio, quale esperienza interna comune potrà essere tradotta in un’immagine potente e significativa per la vita umana sul pianeta?

Il successo cinematografico dei supereroi testimonia una paura diffusa dovuta all’aumento del caos e la necessità di proteggersi dalla violenza. Il supereroe è la versione aggiornata dell’eroe dell’antichità, con i suoi poteri straordinari e il necessario coraggio per salvare l’umanità. La nostra civiltà si spinge ogni giorno di più verso i confini scientifici del macroscopico e del microscopico, ma i materiali mitici non stanno scomparendo, anzi si moltiplicano, si frammentano e si ricombinano e noi non possiamo farne a meno, perché agganciamo ad essi la nostra idea di futuro, le nostre speranze e aspirazioni, che abbiano la faccia di Che Guevara o Padre Pio. Con le parole di Hillman, è “la vana fuga dagli dèi”.

Il substrato psicosociale è permeato da incertezza e il futuro è sempre più rappresentato attraverso preoccupanti distopie. La situazione psicologica nel pianeta è tormentata: secondo l’OMS c’è un aumento dei suicidi, delle depressioni, dei livelli di violenza, della precarietà delle condizioni di vita in molte zone della Terra. Ma nonostante il clima generale di sospetto e sfiducia e le tensioni inevitabili di un’esistenza sempre più complicata, molti esseri umani dedicano i propri sforzi a cercare vie di uscita.

Sarà la direzione mentale di ciascuno di noi ad influire sulla nascita dei nuovi miti per il futuro. Se il contesto mentale in cui l’esperienza trascendentale sopraggiunge è permeato da valori quali la fiducia in sé stessi e nel prossimo, allora questa esperienza sarà “tradotta con bontà” e prenderà vita un’immagine luminosa di futuro aperto e pieno di possibilità. E se questa fosse l’esperienza e il contesto mentale di molti, allora l’immagine che potremo condividere e rafforzare sarà un mito importante, forse quello più potente di sempre, data la dimensione mondializzata in cui ci muoviamo. 

Il mio auspicio e il mio desiderio e la mia personale applicazione risiedono nell’immagine della Nazione Umana Universale: l’esperienza spirituale di sentirmi parte della grande comunità umana oggi, in un momento di veloce superamento di limiti fisici e barriere culturali, il trovarmi nel mezzo di un processo storico ancora in bilico tra istanze preistoriche di violenza e sopraffazione verso la nascita di una storia pienamente umana, mi spinge ad amare l’essere umano e a costruire lo scalino per il suo volo.