Buongiorno a tutti. Ringrazio le tantissime persone che hanno permesso la realizzazione di questo Simposio, in questa nuova forma interconnessa.
Il mio intervento oggi vuole parlare dell’essere umano, evidenziando alcune caratteristiche che ne contraddistinguono il funzionamento psichico e la sua relazione con l’ambiente che lo circonda. Vorrei in questo modo arrivare alla conclusione che l’essere umano, come individuo e come specie, è costitutivamente in grado di creare nuove realtà, cambiando le condizioni in cui si trova ad agire: egli, o per meglio dire NOI, siamo capaci di creare quindi non solo un nuovo mondo ma anche un nuovo essere umano.
Parlare dell’essere umano non è solo discuterne come oggetto di studio filosofico, come se fosse un ente naturale da osservare dal di fuori. Al contrario, l’invito è che ciascuno si senta personalmente chiamato a connettersi al discorso, perché parlerò di ciascuno di noi, della nostra esperienza quotidiana, del nostro vissuto interiore, di come percepiamo e articoliamo la nostra esistenza.
Per farlo mi porrò alcune domande, da cui partirò per dispiegare i tanti elementi che mi servono per arrivare alla conclusione.
1. In che modo l’essere umano è in relazione con l’ambiente? Ovvero come fa la coscienza a entrare in contatto con il mondo e in che modo questo contatto si manifesta?
2. Come la capacità di creare immagini mentali lavora per l’evoluzione?
3. In che modo il passato mi riguarda? In che modo mi riguarda il futuro?
4. Quanta libertà posso ottenere rispetto a ciò che mi limita oggi nella mia vita?
Le mie risposte trovano le loro radici nell’opera di Silo[1], pseudonimo letterario di Mario Rodriguez Cobos, pensatore argentino fondatore della corrente dell’Umanesimo Universalista, che ideò anche questo Simposio nel 2008, e sono debitrice anche dei contributi degli studiosi che hanno approfondito i suoi temi.
SVILUPPO
Entrerò quindi nel cuore di ciò che voglio esporre. La prima domanda è: In che modo l’essere umano è in relazione con l’ambiente? Ovvero come fa la coscienza a entrare in contatto con il mondo e in che modo questo contatto si manifesta?
Uso qui la parola coscienza in senso psicologico e non morale. Con la parola coscienza intendo l’apparato interno che ci fa percepire il mondo esterno e organizza le risposte che diamo a questo mondo esterno. La coscienza fa un grande lavoro: perché riceve continuamente dati da tutti i sensi esterni ed interni, li elabora combinandoli con quelli in memoria, e programma delle azioni. La coscienza ha lo scopo di mantenere l’omeostasi del funzionamento dell’unità psicofisica di cui è espressione. E fin qui non saremmo molto diversi dal nostro gatto.
Di che natura sono le elaborazioni della coscienza? Esattamente cosa fa la nostra coscienza ? Fotografa il mondo esterno, poi gioca un po’ con queste rappresentazioni e alla fine del gioco tira fuori un’azione da fare? In questa prospettiva la coscienza opererebbe una riproduzione del mondo, come fosse un ente passivo di fronte ad esso, ed escogiterebbe in modo meccanico soluzioni ai problemi che il mondo le pone.
Non è così: la coscienza non è passivamente in attesa di qualche segnale dal mondo esterno. Come affermano Brentano, Husserl e Silo, la coscienza è incessantemente in attività, cercando senza sosta gli oggetti mentali, cioè le rappresentazioni che meglio completano gli atti che essa stessa ha lanciato. Io mi rappresento il mondo non perché me lo trovo davanti, ma perché la mia coscienza fa un lavoro continuo di costruzione attiva. Dentro non ho fotografie, ma elaborazioni originali e uniche. È tanto vero questo processo costruttivo e soggettivo della coscienza, che ad esempio in ambito giudiziario si fanno studi sull’affidabilità delle testimonianze rese durante i processi o gli interrogatori, poiché si riscontrano enormi differenze tra i resoconti di persone che riferiscono di un medesimo evento: ciascuno ha costruito l’evento in modo diverso, con dettagli che erano perfino assenti nella scena da descrivere.
Quindi siamo costruttori attivi della realtà, ciascuno della propria.
Per assurdo, se non avessi in me dati percettivi o mnemonici sul mondo, cosa resterebbe in me, come materiale mentale per far lavorare la mia coscienza? Ben poco: la coscienza non avrebbe rappresentazioni e il mondo, in definitiva, non esisterebbe per me. Non esisterei nemmeno io, tanto le mie elaborazioni hanno una base a partire dai dati del mondo. Ovvero io mi costituisco, da quando sono ancora nel grembo di mia madre, in relazione al mondo in cui vivo, inteso come mondo materiale e come mondo sociale. La mia peculiare maniera di percepire si intreccia con il modo con cui sono percepito da altri esseri come me, e interagisco con un mondo che esiste solo in quanto posso coglierne gli aspetti salienti per la mia vita, per i sensi e la coscienza. Io costruisco la realtà del mio mondo, e posso farlo attraverso ciò che del mondo mi è disponibile. Io sono, in definitiva, una struttura coscienza-mondo in perenne attività. Il confine tra me e il mondo esterno, che posso fissare fisicamente nel limite tattile della pelle, è, a livello di rappresentazione, un confine elastico, o meglio teorico, definibile in quanto comunicazione tra spazi aperti. Silo spiega questo concetto con il termine “paesaggio”: esiste un paesaggio interno, dato da tutte le mie rappresentazioni mentali, e uno esterno, il mondo così come lo posso percepire, ed è nell’intrecciarsi di questi due paesaggi che si dispiega la mia struttura coscienza-mondo, permettendomi di imparare (assumere nuovi dati dall’interazione con il paesaggio esterno) e di operare sul paesaggio esterno attraverso l’azione del mio corpo, che vi è incluso.
Cogliere l’ineludibile abbraccio in cui continuamente interagiscono questi due paesaggi è frutto di un allenamento ad afferrare un registro interno particolare, quello dello sguardo. Altro concetto siloista, lo sguardo interno è il registro che abbiamo del punto di osservazione dal quale vediamo operare la coscienza e tutti i suoi atti. Un qualsiasi cambiamento dello sguardo si riflette sul modo in cui i paesaggi esplicano la loro azione. Questa consapevolezza dello sguardo è molto importante se vogliamo cambiare qualcosa rispetto alla situazione di violenza diffusa del mondo d’oggi. Tutti i libri motivazionali del tipo “prendi la vita nelle tue mani” enfatizzano la capacità tutta umana di rendersi conto dello sguardo e di modificarlo in un senso desiderato, così come anche tanta parte del lavoro psicoterapico: la profezia che si auto avvera è l’esempio più chiaro di come lo sguardo influisca sulle nostre azioni e sugli eventi che provochiamo.
Lo sguardo interno non è solo quello individuale su sé stessi e i propri paesaggi, ma anche quello di intere categorie di persone, ad esempio gli scienziati. A partire dalle scienze fisiche, oggi in tutti i campi della conoscenza sta avanzando il principio antropico, cioè la considerazione del ruolo dell’osservatore nella costruzione della realtà. Si sta abbandonando l’illusione di una conoscenza obiettiva, a favore di un’ottica che mette al centro l’interazione tra l’essere umano con i suoi mezzi epistemici e il mondo da conoscere, dal livello microscopico delle particelle subatomiche fino al livello macroscopico della cosmologia. Prendendo in considerazione lo sguardo dell’essere umano, emerge una nuova visione dell’Universo ben più complessa di quella di 100 anni fa: il fisico Carlo Rovelli lo definisce “un mondo che non esiste nello spazio e non evolve nel tempo. Un mondo fatto solamente di campi quantistici in interazione il cui pullulare di quanti genera, attraverso una fitta rete di interazioni reciproche, spazio, tempo, particelle, onde e luce”[2]. Il concetto di interazione sta divenendo centrale in tutte le scienze. Le categorie epistemiche e i loro confini, utili fino a poco fa, oggi ci sono d’intralcio per intuire la natura della nuova visione che emerge dalle conoscenze attuali. Ciò che ho creduto finora deve crollare affinché possa configurare un nuovo modo di vedere le cose. Mi sento, di fronte a questa “nuova” complessità del mio sguardo, come devono essersi sentiti gli esploratori europei del Cinquecento, di fronte alle scoperte di terre mai nemmeno intuite prima. Quanto mi sorprende la fotografia del telescopio Hubble che coglie le centinaia di galassie dell’Universo profondo, mettendo decisamente in crisi la percezione geocentrica del mondo in cui ho vissuto finora. All’improvviso, l’Universo è praticamente infinito e si dispiega grazie al mio sguardo che lo coglie. La coscienza umana su questo piccolo pianeta periferico diventa importante perché in definitiva rappresenta, per il momento e secondo ciò che sappiamo, uno dei livelli possibili di interazione e uno dei modi di costruire la conoscenza, però sicuramente l’unico cui abbiamo accesso. Questa riflessione sta interessando tutti i campi del sapere umano, che deve riconsiderare i fondamenti epistemici delle discipline ed elaborare un nuovo programma conoscitivo in cui lo sguardo dell’essere umano sia incluso come elemento centrale del metodo.
Veniamo alla seconda domanda: Come la capacità di creare immagini mentali lavora per l’evoluzione?
La dinamica coscienza-mondo si esplica attraverso l’attività del rappresentare, cioè di produrre immagini, come comunemente vengono definite in psicologia. Le immagini sono delle ri-costruzioni sintetiche che la coscienza produce come risultato della propria attività, quindi sono originali, uniche, benché l’educazione e la socialità operino costantemente affinché sia possibile la comunicazione reciproca delle immagini. Fin da piccoli e per tutta la vita, attraverso il linguaggio condividiamo i concetti, cioè i significati di base che associamo alle nostre immagini. È nel fallimento delle azioni e della comunicazione, nelle ambiguità, negli errori, che ci accorgiamo della soggettività delle nostre immagini e dei nostri paesaggi e questo ci obbliga a rimetterci d’accordo, a ritrovare il consenso sulle credenze pre-dialogali alla base dei nostri scambi conversazionali. È la natura della nostra conoscenza, come scrive Edgar Morin: “Ogni conoscenza porta con sé il rischio dell'errore e dell'illusione”[3].
Lo storico Harari parla dei “costrutti dell’immaginazione” che hanno abituato le persone fin dalla nascita ad adeguarsi a certi comportamenti e a pensare in un certo modo, creando così degli “istinti artificiali” che chiamiamo cultura[4]. Le credenze sono immagini complesse e prescrittive cui è difficile riconoscere il carattere soggettivo, poiché la cultura ha una forma cooperativa basata su grandi numeri e l’evidenza che ne abbiamo è proprio il contrario: questa è la “verità” poiché tutti ci credono. Per fortuna molti brillanti pensatori sono andati controcorrente, hanno messo in discussione ciò che era ritenuto vero e hanno così permesso di accedere a nuove conoscenze.
Le immagini sono flessibili: continuamente sono ricostruite, cambiate, aggiornate, per permettere l’adattamento della struttura psico-fisica al mondo fisico e sociale, e viceversa per adattare il mondo fisico e sociale ai propri desideri. Questa attività di adattamento reciproco punta ad una direzione evolutiva, poiché opera attraverso lo strumento del corpo, al tempo stesso soggetto e oggetto del mondo materiale e sociale, per trasformare i paesaggi nella direzione del superamento del dolore fisico e della sofferenza mentale. Questa intenzione di base della nostra specie ci guida fin dai primi ominidi, poiché sono le stesse condizioni di finitezza e di mancanza ad essere il motore dell’intenzione evolutiva. Possiamo affermare che è una direzione implicita nella Vita stessa, dalle sue forme più semplici fino alle più complesse.
Questa direzione nell’essere umano agisce articolando nella coscienza un orizzonte temporale in cui il passato, il presente e il futuro si intessono l’uno nell’altro, ma dove in definitiva primeggia la costruzione del futuro, per la stessa meccanica intenzionale della coscienza, sempre protesa in avanti alla ricerca di nuovi oggetti mentali. Pertanto l’attività del rappresentare nella direzione del futuro la chiameremo immaginazione ed è ciò che permette l’emergere di contenuti nuovi, che superano le vecchie credenze scartandole oppure integrandole all’interno di visioni più ampie. Giordano Bruno scrive: “Ogni volta, infatti, che riteniamo che rimanga una qualche verità da conoscere, un qualche bene da raggiungere, noi sempre ricerchiamo un'altra verità ed aspiriamo ad un altro bene. Insomma l'indagine e la ricerca non si appagheranno nel conseguimento di una verità limitata e di un bene definito.”[5]
Tutto questo processo, a livello individuale e di specie, si traduce in cambiamento continuo, e miopi sono quelle posizioni che pretendono di preservare un equilibrio presente, o ancor peggio di tornare a situazioni passate che si sono ritenute positive in momenti lontani.
E ora la terza domanda: in che modo il passato mi riguarda? In che modo mi riguarda il futuro?
La temporalità della coscienza sorge dall’articolazione dei tre tempi che possiamo costruire: passato, presente e futuro. Il passato è tutto ciò che è memoria, paesaggio di formazione, ed entra sempre in gioco nella costruzione di nuove immagini. Il passato mi definisce: io sono un essere storico imbevuto della cultura in cui sono cresciuto. Mi definisce anche come essere sociale poiché è nell’interazione con le intenzioni altrui che ho configurato la mia intenzione. Il passato predomina quanto più accumulo in memoria. Eppure il futuro prevale: è la dimensione progettuale dell’esistenza, il programma delle mie azioni, è l’intenzione che si manifesta nel corpo e nel mondo. Il presente è il punto di incrocio delle immagini provenienti dalla memoria e delle immagini risultanti dai processi immaginativi in cui mi proietto in situazioni future. È nel presente che agisco, sento, penso, in cui mentre includo il passato, sono spinto verso il futuro, ampliando in questo modo lo sguardo che osserva la temporalità in azione.
E ora l’ultima domanda: quanta libertà posso ottenere rispetto a ciò che limita oggi la mia vita?
La spinta alla futurizzazione, proveniente dalla direzione evolutiva che vuole trasformare le condizioni date, corrisponde nella storia umana ad un processo di liberazione personale e sociale in cui siamo, ciascuno di noi, chiamati a dare il nostro contributo. Questa liberazione si radica nel corpo con azioni di allontanamento dal dolore e avvicinamento al piacere, e man mano che i bisogni e le possibilità si sono ampliate, gli esseri umani hanno lottato contro la malattia e la povertà, e contro la paura che genera sofferenza. Il corpo stesso può uscirne trasformato in questo processo di liberazione: chirurgia, protesi, fecondazione assistita sono alcuni dei modi con cui interveniamo sul corpo quando questo rappresenta un limite alle nostre intenzioni.
Il processo di liberazione dell’essere umano è appena cominciato. Comparso per ultimo sul pianeta, la sua evoluzione è stata veloce, e in un circolo di retroazione virtuosa, più cambiava più era capace di cambiare. La possibilità rappresentativa ha accelerato ancora di più lo sviluppo delle sue abilità, poiché non doveva per forza andare per tentativo ed errore, ma ha immaginato situazioni e trovato soluzioni.
John Stewart, studioso dello sviluppo della coscienza, definisce due caratteristiche fondamentali dell’essere umano: l’auto-evoluzione e l’autogestione sistemica. La prima è la capacità di liberarsi delle limitazioni biologiche e culturali del passato per poter scegliere ciò che è necessario a vantaggio del futuro; la seconda è la capacità di sviluppare modelli mentali di interazione tra sé e l’ambiente, che permettono di identificare azioni utili al futuro evolutivo.[6]
Queste capacità sono presenti in tutti gli esseri umani come possibilità insite nel funzionamento stesso della coscienza. Ma solo in presenza di una scelta intenzionale possiamo divenirne consapevoli, svilupparle, metterle al servizio del miglioramento della vita individuale e collettiva. Quale salto qualitativo avrebbe la vita umana e non umana su questo pianeta se tutti agissero per liberarsi dai limiti imposti ad ogni livello?
Questo simposio è un momento di incontro e di circolazione di idee che vogliono illuminare una parte del cammino di liberazione che ci aspetta nel futuro. Liberarci dalla tirannia del denaro, ad esempio con il reddito di base universale, liberarci dalla minaccia distruttiva con la riduzione degli armamenti e l’eliminazione del nucleare, liberarci dalle disparità di genere e in generale da ogni tipo di discriminazione, liberarci dalla minaccia di un disastro ecologico, liberarci dalla violenza che colpisce tanti ambiti della vita umana.
Fin dove possiamo spingerci nel cammino di liberazione? Chiaramente dal presente dal quale osserviamo, intravediamo in lontananza bivi che potremmo prendere e bivi che speriamo di evitare, ma il cammino non è definito in alcun modo. Da Heisenberg in poi, in campo scientifico (ma con conseguenze di rilevanza epistemologica su tutta la conoscenza umana), l’indeterminazione ha descritto in maniera più rispondente il comportamento non meccanicista e non determinista di alcuni fenomeni fisici, potendo generalizzare questa acquisizione ai fenomeni ben più aleatori della vita e dell’umano.
Pico della Mirandola poeticamente descrive questa immensa libertà che l’essere umano ha di fronte a sé: “Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine”.[7]
Certamente questa dimensione di indeterminazione affascina e spaventa allo stesso tempo. A volte può prendere la forma concreta della domanda: “Ci estingueremo o saremo in grado di trasformare la nostra specie e il nostro ambiente in modi che ancora nemmeno immaginiamo?” Abissi e luminose prospettive convivono come possibilità da plasmare.
CONCLUSIONI
Concludendo, vorrei ricapitolare brevemente.
La caratteristica dell’essere umano è l’apertura, poiché la sua coscienza, nell’intrecciare la propria attività costruttiva in interazione con il mondo, struttura e dà forma a se stesso e al mondo. La capacità di creare immagini e di proiettarle nel futuro in direzione del superamento del dolore e della sofferenza è la base per la trasformazione delle condizioni limitate in cui sempre si trova ad agire. La trasformazione si realizza nello sguardo con cui osserva, nei paesaggi interno ed esterno che lo costituiscono, nel mondo stesso. Egli ha scritto in sé, codificato nel funzionamento stesso, il proprio destino di liberazione personale, sociale, spirituale.
Tutto questo è molto importante oggi. Con le parole di Hugo Novotny: “Nel momento storico attuale, è diventato imprescindibile che la specie umana assuma un ruolo protagonico nel superamento della crisi e nel passaggio alla futura tappa evolutiva della vita sul nostro pianeta; e perché questo sia possibile, è improrogabile il salto intenzionale verso un nuovo livello di coscienza, verso una nuova etica e una nuova spiritualità.”[8]
Le “cose superiori e divine” di Pico della Mirandola e la nuova spiritualità della prossima tappa dell’evoluzione umana, rimandano alla dimensione mistica che da alcune migliaia di anni l’essere umano sta esplorando, cercando la strada verso un nuovo livello di coscienza e di conoscenza. I limiti dell’identità individuale sono argini entro cui è contenuto il registro dell’io cosciente, ma esiste un fiume profondo che non ha argini e che attiene alle esperienze di contatto con l’ineffabile mondo dei significati universali.
Sasha Volkoff descrive molto bene il procedimento di meditazione con cui vi si può arrivare: “Nella misura in cui si fa silenzio e la coscienza si va svuotando di contenuti, può sopraggiungere un momento in cui, sprovvista di contenuti a cui dirigersi, effettua un movimento verso l’interno e registra sé stessa; in quel momento, quando il soggetto incontra sé stesso, si produce la rottura di livello. Allo scomparire degli oggetti di coscienza, essa si scopre ‘vuota’ e vede sé stessa non come oggetto ma direttamente come soggetto”[9].
L’ulteriore gradino nel processo di liberazione cui aspiriamo è poter immaginare la nostra evoluzione al di là del limite della morte del corpo. Nel mistero e nella fede che accompagnano questo passaggio, mistici di diverse religioni hanno affermato la possibilità di un percorso dello spirito, oltre il corpo fisico e prescindendo dall’io con cui ci identifichiamo in vita, proiettandosi verso un cammino di trascendenza.
Termino con una bellissima citazione dal racconto di Silo “L’argilla del cosmo”:
“Così, il visitatore era in attesa di una nuova nascita all’interno di quella specie in cui aveva riconosciuto la paura di fronte alla morte e la vertigine della furia distruttiva. Aveva osservato come quegli esseri vibrassero per l’allucinazione dell’amore, come si sentissero angosciati di fronte alla solitudine dell’Universo vuoto, come immaginassero il proprio futuro, come lottassero per decifrare le prime impronte lasciate sul sentiero nel quale erano stati scaraventati. Prima o poi questa specie fatta con l’argilla del cosmo avrebbe intrapreso il cammino che l’avrebbe portata a scoprire la propria origine, ma quel cammino sarebbe risultato imprevedibile.”[10]
Grazie per l’attenzione.
[1] Silo, Opere complete, vol. 1 e 2, 2000-2003, Multimage, Firenze.
[2] Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare, 2014, Raffaello Cortina, Milano.
[3] Edgar Morin, I sette saperi necessari all’evoluzione del futuro, 2001, Raffaello Cortina, Milano.
[4] Yuval Noah Harari, Sapiens. Da animali a dèi, 2017, Giunti, Milano.
[5] Giordano Bruno, dalle Opere Latine, citato in Vincenzo Spampanato, Vita di Giordano Bruno, 1988, Gela editrice, Roma
[6] John Stewart, Evolution’s arrow, http://users.tpg.com.au/users/jes999/EvArrow.htm (10 aprile 2021)
[7] Giovanni Pico della Mirandola, Della dignità dell’uomo, 2000, Multimage, Firenze.
[8] Hugo Novotny, Luce gravità e tempo, 2019, Parchi di Studio e Riflessione Carcarañá, Rosario.
[9] Sasha Volkoff, L’identità intenzionale, 2018, Parchi di Studio e Riflessione Odena, Barcellona.
[10] Silo, Il giorno del Leone Alato, 1991, Multimage, Firenze.