L’Uomo dimenticato

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Nessuno mette in dubbio quanto diverso sia l’attuale rapporto con l’ambiente e la società rispetto al passato e quanto sia cambiato il rapporto tra gli uomini e la società stessa. Intendiamoci, non sono tra quelli che dicono “si stava meglio quando si stava peggio”; niente di più insincero (anche chi lo afferma, omette di dire che oggi ha quel lusso a cui, guarda caso, non vuol rinunciare) e sbagliato.

Un esempio? Molti hanno scritto del Medioevo come il tempo dei secoli bui. La convinzione è connessa anche a diversi falsi miti, e superstizioni, su mille anni di storia: dalla caccia alle streghe, allo ius primae noctis, alla cintura di castità fino il fenomeno della terra piatta. Niente di più falso.

Chi non ricorda il 31 dicembre 1999, data di passaggio del millennio. Era stata ventilata l’apocalisse di natura tecnologica: all’avvicinarsi del 2000 il terrore fu diffuso dal Millenium Bug, un potenziale difetto informatico che si rivelò meno grave, e diffuso, del previsto.

Un fatto analogo accadde il 31 dicembre 999. Allo scattare dell’anno 1000, secondo alcune interpretazioni dei Vangeli apocrifi, si sarebbe esaurita la vita della cristianità: la data di scadenza dell’uomo era, per alcuni, fissata al compimento dei mille anni dalla nascita di Cristo. In realtà, buona parte dell’attesa millenaristica fu attribuita al Medioevo dalla storiografia successiva, che dando a quell’epoca incertezze e superstizioni voleva legittimare lo sviluppo culturale successivo.

Per via di un cortocircuito nato da diverse ricostruzioni da parte degli autori delle prime cronache storiche, si è diffusa la convinzione che, all’inizio dell’anno 1000, si sarebbe diffusa una sorta di psicosi nella gente dell’epoca, giacché quella cifra tonda doveva essere, per qualche ragione, foriera di gravi catastrofi e preannunciare l’imminente fine del mondo. Pensiamo che nella società di allora non si dava neanche importanza al calendario, ci si orientava piuttosto sulla base delle ciclicità del mondo contadino.

Quante volte, per screditare qualcosa, si sente dire che è roba da Medioevo senza rendersi conto che proprio nel Medioevo sono nate anche le Cattedrali e le Università. Cerchiamo allora di sfatare queste dicerie (cosa dire del ’900? Ha generato regimi totalitari, terribili genocidi, due guerre mondiali, bombe atomiche, e altro).

Siamo nel Medioevo quando Lorenzetti dipinge l’Allegoria del Buono e del Cattivo Governo e i suoi effetti in città e in campagna. Considerata la prima pittura di carattere laico e civile della storia dell’arte italiana (commissionata dal guelfo Governo dei Nove), fu voluta in un periodo di carestie, di sommosse e di generale instabilità per rassicurare i senesi della bontà e della giustizia del governo, dimostrando che quando le azioni dell’uomo governano il territorio, rispettandolo, tutto avviene in perfetta armonia.

Tornando al tema dell’Umanesimo attuale non possiamo non ricordare che il vecchio Umanesimo (‘400) perseguiva la curiosità per il vasto spettacolo del mondo; l’amore per gli antichi; la passione per le arti come suprema manifestazione della creatività umana e come ricerca dell’armonia; l’ideale dell’uomo virtuoso, che cerca di forgiare il proprio destino. Si affermava il primato della vita attiva su quella contemplativa e si negava all’erudito il diritto alla solitudine, imponendogli, al contrario, di vivere e operare nella società.

La nostra società ha subìto grandi cambiamenti negli ultimi 100 anni. Il boom economico (anni ‘60 del ‘900) rimodellò le classi sociali. L’analfabetismo scomparve; nacquero nuove professioni e l’azienda artigiana, la piccola e media impresa, diventò soggetto attivo principale nell’economia italiana ed europea; l’agricoltura si meccanizzò e le aziende agricole occuparono il posto dei latifondisti; nacquero i nuovi ricchi e nuove figure intellettuali portarono linfa a una nuova era, compresa la globalizzazione. Ma si affievolì, fino a sparire, il rapporto umano.

Fino a 100 anni fa il territorio extraurbano era curato, amministrato, gestito (non solo quello agricolo, ma anche quello per la pastorizia e la silvicoltura). I boschi, dove le bestie addomesticate non potevano pascolare, erano curati dai cittadini: toglievano rami e tronchi secchi per scaldarsi, ripararsi e nutrirsi. La natura faceva parte del ciclo economico della società. Anche l’appropriazione dell’incolto era regolamentata.

Non possiamo certo pensare a un futuro senza sviluppo ma, quest’ultimo, non può prescindere dalla salvaguardia del territorio e dell’ambiente.

Nel 1987 fu definito il concetto di Sviluppo Sostenibile quando: «soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni».

Nel 2001 l’UNESCO amplia il concetto con «La diversità culturale è necessaria per l'umanità quanto la biodiversità per la natura (...) la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre un’esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale».

I riferimenti alla sua sostenibilità sono necessari per affrontare il tema dell’Umanesimo nel momento attuale: significa guardare alla crisi climatica, alla salute, ai nuovi stili di vita e alla visione futura ma anche a quello che sta avvenendo, come stanno mutando i processi e come si succedono gli eventi. Questo significa che quando un sistema, o uno strumento, raggiunge la sua massima evoluzione e perfezione tutto cambia radicalmente.

Gli amanuensi: perfetti nel copiare libri, arricchiti con grafie, immagini stupende da apprezzare come quadri in miniatura, furono soppiantati, all’apice del loro splendore, dalla stampa. La riproducibilità di un libro più rapidamente hanno annullato il lavoro maturato per secoli dai monaci.

Che dire poi dei velieri: fasciame, corde, vele e carenature sempre più capaci hanno solcato i mari per secoli sfruttando i venti più propizi. Poi, al loro massimo sviluppo, l’avvento delle navi a vapore ha mandato in pensione i vascelli. E le mura a difesa delle città? Sviluppate all’inverosimile per dare riparo alle città: dalle palificate ai fossati fino ai contrafforti a stella per deviare le palle delle bombarde.

Stanno davvero mutando i processi? La prima ondata di pandemia l’abbiamo vista lontana, oggi la stiamo vivendo direttamente. Conosciamo il vicino che è stato infettato, sappiamo come sta e quali difficoltà ha avuto. Tutto è cambiato, a cominciare dai nostri comportamenti: dalla mancanza del moto quotidiano, al distacco da tutti, all’attenzione per tutto quello che tocchiamo o avviciniamo, allo stare a casa per giorni costringendoci alla visione televisiva di reality beceri e insulsi senza futuro.

Ci stiamo accorgendo che questo fenomeno non è più di tipo localistico ma globale. La peste colpiva la città e, per evitarla, si andava altrove (la racconta Boccaccio con la fuga da Firenze di 10 ragazzi in una villa circondata dalla natura e da una pace incontrastata - Decameron). Una domanda: il Covid-19 ha colpito il mondo perché non l’uomo non è stato capace di convivere con la natura?

È allora necessario un Nuovo Umanesimo?

L’uomo deve tornare in sintonia, e armonia, con Terra e Universo, natura e società. Sono questi gli elementi da cui partire per generare un Nuovo Umanesimo.

Il recentissimo regolamento (1° aprile 2021) istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF - Recovery and Resilience Facility) stabilendo che nessuna misura inserita in un piano per la ripresa e la resilienza (RRP - Recovery and Resilience Plan) debba recare danno agli obiettivi ambientali (Art. 17 del Regolamento Tassonomia - UE 2020/852 - Parlamento Europeo per investimenti sostenibili) nell’ottica di non arrecare un danno significativo.

Stiamo ragionando al contrario partendo dai danni arrecati per far capire cosa non si deve fare. Un tempo la consapevolezza era quella che alterare gli equilibri era pericoloso e sottomettere il territorio significava andare contro natura.

Il territorio, storicamente, era ricoperto da boschi. Millenni fa, a patto di avere l’agilità di una scimmia, sarebbe stato possibile salire su un albero all’altezza della futura Reggio Calabria e, passando di ramo in ramo, scenderne all’altezza della futura Calais, di fronte alle bianche scogliere di Dover.

Oggi non è più così: trascurando i centri abitati, coltivazioni, aree prative, suffruticeti, arbusteti e lembi boschivi hanno sostituito in molte aree quello che sicuramente era un bosco compatto.

Torniamo ai boschi! Che si stia andando in questa direzione lo dimostra l’ultimo provvedimento del Ministero della Transizione Ecologica (16.3.2021) con un Programma Sperimentale per la Riforestazione Urbana, finanziando progetti per 18 milioni di euro per il 2021, legato alla “messa a dimora di alberi, il reimpianto e la selvicoltura ovvero la creazione di foreste urbane e periurbane”.

Parlando di nuovo umanesimo non possiamo non renderci conto di cosa abbiamo prodotto sul territorio urbano ed extraurbano. Recentemente pare che l’oggetto paesaggio abbia sostituito la città invertendo i rapporti tra società e territorio mettendo in risalto le principali contraddizioni legate all’insostenibilità dei nostri modelli di sviluppo economico e sociale. Ha anche messo in luce i rischi e le sfide ma ha definito il ruolo del paesaggio come dimensione strutturale dell’urbanistica.

Ma non possiamo ignorare la realtà. Esiste una fragilità della natura sul territorio dovuta ai nostri comportamenti che hanno generato disarmonia.

L’armonia è da sempre assimilata alla bellezza, all’accordo fra le parti, alla pace, alle giuste proporzioni, alla consonanza, alla completezza e alla continuità. Quale miglior esempio se non quello della musica. Gli accordi sono il linguaggio stesso dell’armonia in precisi rapporti fra le note. L’accordo perfetto, quello che unisce la tonica, la mediana e la dominante, rappresenta l’unione di note più gradevoli all’orecchio e precisi dal punto di vista fisico-matematico.

L’idea tradizionale di associare l’ordine all’equilibrio e il disordine al non-equilibrio va oggi, per certi aspetti, invertita. Anche il non-equilibrio crea delle strutture la cui coerenza supera persino quella delle strutture della fisica classica. L’accostamento che si fa fra armonia ed equilibrio va ripensato e raffinato, nel senso che un sistema lontano dall’equilibrio – fisicamente disarmonico e imprevedibile – può essere non solo studiato, ma se ne può cogliere un’intima coerenza che ovviamente non coincide più con l’idea tradizionale di coerenza alla quale siamo abituati.

Le moderne scienze della vita affermano, quando si basano sul principio che l’equilibrio perfetto è dannoso alla sopravvivenza di un organismo inserito in un ambiente complesso, che è necessaria una certa dose di disordine e di caos; questo permette di reagire meglio alle anomalie del mondo esterno e agli stati di crisi.

E allora? Per un nuovo umanesimo occorre intervenire sulla collettività per ricreare una “società” che si confronti e rifletta sul suo sviluppo in un’ottica diversa: quella che assieme si può superare anche la peggiore delle crisi. Non possiamo più accettare che prevalgano le ragioni dell’individualismo sul sistema dei valori e delle regole della collettività. Questo è possibile avendo fede nei valori della lealtà, della correttezza e della trasparenza, della giustizia sociale e della solidarietà.

Che l’uomo torni al centro dell’agire.