Momento di rottura e momento di riparazione

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Matriarcato, patriarcato e futuro[1]

Spero che questo breve racconto vi sorprenda e vi apra la speranza verso un buon futuro.

Perché, grazie a questa ricerca, abbiamo trovato tracce molto belle di una cultura matriarcale che è scomparsa. E con questo stiamo dando un contributo alla Buona Conoscenza. Questo studio che si sta sviluppando è in una fase molto avanzata. Speriamo che nei prossimi 10 mesi sia terminato e possa essere pubblicato. Questa ricerca riguarda la preistoria dal paleolitico superiore fino al momento precedente alle grandi civilizzazioni, allo scopo di scoprire quale fosse il tratto distintivo di queste culture in formazione. Così attraversiamo l’Europa neolitica della cultura dei megaliti e della cosiddetta “Vecchia Europa” di Gìmbutàs; passiamo per Creta prima dell’arrivo dei Greci e in Anatolia prima dell’ingresso degli indoeuropei; vediamo l’Egitto predinastico, la Mesopotamia prima dei Sumeri; la valle dell’Indo con le città di Harapa (àràpa) e Moenjodaro (moongiu-daro); la Cina prima dell’impero e in America le Ande prima degli Incas e il Mesoamerica prima del sorgere delle civilizzazioni Maya e Azteca.

Lo studio cerca di dare luce al momento di rottura che Silo descrive nella nota lettera a Karen:

Però, all’origine di questa nuova direzione c’è una rottura che non è stato ancora possibile trasferire, che non si è potuta mai colmare e tale situazione mentale e psicosociale si sta anche accelerando senza una soluzione. Parlando di questo non sto dicendo che si debba retrocedere di diecimila anni ma, al contrario, che bisogna sbloccare e trasferire contenuti collettivi del sostrato matriarcale e metterli a disposizione dell’immaginario collettivo.

Quindi, che cosa è successo? Come, dove, quando e, soprattutto, perché si è prodotta questa rottura? Queste sono le domande a cui cerchiamo di rispondere con uno studio profondo e amplio. E in base a quello che stiamo scoprendo e a una nuova attitudine storica che sta sorgendo sveleremo un nuovo futuro. Lo studio può già fornire conclusioni chiare rispetto alla situazione nel paleolitico e nel neolitico in Europa, Anatolia, Creta, nella valle dell’Indo e in Cina. E c’è ancora molto da fare nella ricerca dell’Egitto pre-dinastico, nella Mesopotamia prima dei Sumeri e nelle pre-civilizzazioni americane. Quali sono queste conclusioni?

Prima.

Alla fine del paleolitico e durante i primi millenni del neolitico – fino approssimativamente a 10.000 anni fa – dall’Irlanda fino al mar della Cina tutte le società presentavano già chiari indizi di un matriarcato incipiente. Alcune di queste società si vanno sviluppando in alcuni luoghi fino a creare vere culture matriarcali. Si struttura la società, si strutturano i miti e gli dei – per meglio dire, le dee –, appaiono città, compare il commercio e una determinata atmosfera sociale. Chiari esempi di queste culture matriarcali che si sviluppano sono: la cultura del Sudest europeo che Gìmbutàs chiama d cultura dei megaliti che raggiunge la sua massima espressione con il matriarcato di Malta; la cultura matriarcale dell’Anatolia che si cristallizza nelle città di Çatal Höyük (cià-tal-oiukt) e Hacilar (àgilash); la civilizzazione cretese che dà vita a una bella società matriarcale, l’ultima a scomparire in questa parte del pianeta, fino a 1400 anni prima della nostra era, quando i Greci irrompono nell’isola; la cultura della valle dell’Indo con le impressionanti città di Moongiu-daro e àràpa; e tutte le culture precedenti all’impero cinese. Molte di queste culture cinesi matriarcali sono sopravvissute al passare dei secoli e si sono mischiate. Alcune di esse sono scomparse soltanto 100 anni fa e la nota società matriarcale di Muso o Mò-suoo sta scomparendo ora, sotto i nostri occhi. Questo ci mostra un panorama molto differente da quello che credevamo o che ci avevano raccontato. Questa immensa area era coperta da un manto matriarcale, non uniforme ma con uno sviluppo disuguale.

Seconda.

Approssimativamente tra gli 8.000 e i 6.000 anni prima della nostra era si produce una divergenza nelle aree che abbiamo studiato. Si aprono due linee di sviluppo molto chiare: da una parte avanza una linea verso culture sedentarie, agricole, matriarcali e egualitarie. Dall’altra sorgono culture nomadi dedite all’allevamento, alla caccia, patriarcali e gerarchiche. Queste culture nomadi che hanno appreso ad addomesticare gli animali compaiono nelle steppe che vanno dal nord del Caucaso all’attuale Kazakistan da una parte e, dall’altra, nella frangia di savana tra il Nilo e il Mar Rosso che in quel momento aveva un clima che non era desertico.

La prima di queste zone al nord del Caucaso e del Kazakistan vedrà nascere la cultura Kurgan che getterà i semi delle successive tribù indoeuropee che nella loro espansione guerriera schiacceranno le culture matriarcali dell’Europa, dell’Anatolia e della valle dell’Indo. Così comincia una storia terribile di guerre e violenza che da 8000 anni domina la storia dell’Occidente. Queste cultura si fonda sui seguenti aspetti: primo, il valore dell’essere umano si stabilisce in base al valore dei suoi possedimenti materiali. Secondo, il valore dell’essere umano si basa sulla capacità di dominare altri esseri umani. E terzo, nel concetto della vita post-mortem si proiettano i valori e i piaceri di questa vita. Così il paradiso è una continuazione del meglio che si può immaginare in base ai valori di questa vita: nell’al-di-là continuano le gerarchie, il godimento materiale dei piaceri “corporali” senza limite, l’ansia di avvicinarsi ai superiori, siano dei o faraoni. Ovvero, una visione molto materialista. La morte è qualcosa di tragico e drammatico e pertanto si sviluppano enormi templi e tombe che raggiungono il massimo splendore in Egitto. Questo si alimenta in una atmosfera sociale dura, esigente, competitiva, violenta, discriminatoria, umiliante con l’ansia del successo. Si sviluppa una vita materialista alla ricerca del successo sugli altri, disconnettendo i valori umani, disconnettendo la bontà e rompendo la fratellanza. In contrapposizione, ci sono le culture matriarcali. Questo che sto per dire è sorprendente, quasi incredibile. Le culture matriarcali sviluppano società pacifiche, egualitarie, poetiche, flessibili e morbide. Apprezzano le atmosfere soavi, collaborative, non personaliste, flessibili, adattative. A mala pena esistono gerarchie, non c’è l’ansia di dominare, non ci sono scene di caccia né di battaglia, non sanno fare la guerra.

Facciamo un esempio. Facciamo un taglio storico di 4000 anni fa. Compariamo tre fotografie: l’Egitto delle piramidi e dei faraoni, la Mesopotamia nel suo splendore e la Creta matriarcale. L’Egitto e la Mesopotamia hanno le stesse basi: sono società molto gerarchizzate, con grandissimi monumenti funerari o di culto, amanti delle rappresentazioni di battaglie vittoriose sui nemici e della caccia alle grandi belve. La storia di entrambe le civilizzazioni mostra un personalismo molto grande e un patriarcato molto evidente. Si conoscono i nomi di tutti i faraoni nell’arco di 3000 anni e compaiono nelle rappresentazioni dei templi e delle tombe. La struttura della rappresentazione è molto chiara: il dio in alto benedice il faraone che viene rappresentato come magnifico e, di minori dimensioni, i suoi aiutanti. I sudditi non sono rappresentati. Gli argomenti principali sono le battaglie vittoriose, il successo nella caccia e i riti funebri. Ci sono differenze tra l’Egitto e la Mesopotamia però le linee di base sono queste.

A Creta appare un’atmosfera radicalmente differente. Non si conoscono i nomi dei governanti, siano essi donne o uomini. Non si conoscono le loro imprese che non vengono nemmeno raffigurate. Non ci sono scene di battaglia né di caccia. Non ci sono templi magnifici né tombe impressionanti. Le pitture riflettono movimento, flessibilità, armonia, un gusto estetico soave ma brillante. Lì appaiono rappresentati in feste, mentre ballano, mentre saltano il toro, si vedono uccelli multicolori, belle farfalle, fiori e animali fantastici e simboli della dea da tutte le parti con differenti rappresentazioni. Le sepolture sono semplici, e i luoghi di culto sono le grotte, le cime delle montagne e alcuni angoli delle case. E, altro fatto fondamentale, la distanza tra gli stati sociali è molto poca.  Sì, stiamo parlando di una società basilarmente pacifica che non aveva una cultura della guerra, non aveva mura difensive, era egualitaria e amabile. Come questa erano le altre società matriarcali che coprivano gran parte del mondo antico fino a che non furono cancellate dalla storia a causa della brutalità del patriarcato. E come lo possiamo spiegare? Come mai c’è stata questa divergenza, questa rottura? Il fatto è che entrambe le tendenze riflettono nel proprio stile di vita, nella struttura sociale e nei miti la loro attività materiale. Spieghiamo questo punto. I nomadi allevatori dominano gli animali e li cacciano. Inoltre osservano come i maschi delle loro mandrie combattono e sconfiggono e dominano le femmine, scoprendo per osservazione che le caratteristiche del maschio si trasmettono alla prole. Così arrivano a relazionare l’atto sessuale con la gravidanza, con l’importanza di questo fatto per la continuità nella procreazione dei maschi. Dominano e addomesticano gli erbivori arrivando – intorno a 5.000 anni prima della nostra era – a cavalcare sul dorso dei cavalli con un grande senso di vittoria. In seguito costruiscono carri e acquistano velocità negli spostamenti. Così diffondono le loro società che hanno come fondamento la competitività e l’accumulazione materiale; e così come il maschio domina il branco, loro dominano i propri simili e combattono per la terra e le mandrie di animali. Le loro immagini di riferimento sono l’aquila, il lupo, il leone e il Sole.

Gli agricoltori sedentari osservano il ritmo della natura e i doni che la terra offre. I ritmi dei cereali e dei frutti sono alla base dei loro miti. Questi frutti che raccolgono e sembrano morti ma che dopo la semina e l’inverno tornano a rinascere. Questo per loro è un gran mistero. La Grande Dea Madre dà la vita e la morte, domina i cicli e governa la natura mostrandosi nelle grotte, nei fiumi e negli animali. Costruiscono villaggi e vivono in fratellanza, come sono fratelli un frutto con l’altro, un albero con l’altro. Sono società collaborative, non competitive. Le loro immagini di riferimento sono la Grande Dea Madre in differenti rappresentazioni, l’acqua come generatrice di vita, la luna, il toro – le corna – e i simboli sessuali. Mi rendo conto che è difficile credere che ci fossero società che vivevano in fratellanza. Ma ogni volta che leggo la descrizione di una società matriarcale, sia essa in Cina, a Creta, in Anatolia o nella valle del Danubio, compaiono queste atmosfere. Però fino ad oggi, fino all’attuale momento storico, siamo stati guidati dal patriarcato. Questo patriarcato che ha generato tanto malessere, tanta distruzione e sofferenza. Fino a qui siamo stati guidati dal patriarcato ma non continuerà. Ora il patriarcato sta cadendo. Non si può più tornare indietro. E questa caduta sta generando una crisi profonda, perché questo sistema sociale di 8 o 10.000 anni sta crollando. Grazie a questo abbiamo una grande opportunità per avanzare verso nuove possibilità, verso nuovi futuri. Mentre il vecchio mondo sta morendo seguendo una lenta linea discendente, il nuovo mondo sta già tra di noi dando segnali in una linea ascendente. Nei prossimi decenni vedremo – senza catastrofi sociali, senza apocalisse, senza genocidi, senza spaventi – come queste linee si incrocia e quella ascendente supererà il vecchio mondo che, esausto, scende sempre più in basso. Noi avanziamo verso un futuro positivo, con difficoltà, ma un nuovo futuro limpido, allegro. Avanziamo verso il futuro senza paura, con fede in noi stessi, con fede nell’essere umano.

I processi sono lenti, richiedono il loro tempo. Le trasformazioni non accadono come nei film: da un giorno all’altro. Non stiamo parlando di una rivoluzione, ma di qualcosa molto più profondo e trascendente per la storia umana: “Perché dietro di quel segnale stanno soffiando i venti del grande cambiamento”, disse Silo nel 2005 all’inaugurazione del Parco La Reja.

È molto probabile che il momento di svolta passi inosservato perché continuiamo a guardare il mondo con un vecchio sguardo, aspettando avvenimenti che non accadono né accadranno; non vediamo, o degradiamo, i segni del nuovo mondo. Infine, vorrei sottolineare che, dal mio punto di vista, un nuovo mondo, una Nazione Umana Universale, non è un’utopia illusoria. No, è qualcosa che abbiamo già fatto molto tempo fa – in piccolo – e che torneremo a fare presto, perché è nel profondo degli esseri umani, dando segnali, chiamandoci. E questa volta lo faremo meglio.

Il cammino verso il nuovo mondo non passa attraverso la lotta di idee o di persone, attraverso la vittoria sui nemici. Non credo che si avanzi verso un nuovo futuro in una lotta senza fine contro la malvagità. Non credo nella lotta delle ideologie. Le ideologie non muovono più il motore sociale. Il cammino verso il nuovo mondo passa per il superamento della vendetta, per le testimonianze di riconciliazione, si vede già nell’atto di trattare gli estranei con affetto, si manifesta nella compassione e nella bontà posta nelle azioni, si vive nella ricerca di un’atmosfera spirituale della vita, si esprime nel convincimento che c’è qualcosa di molto bello dopo la morte.

Questo è tutto, per ora. Vi ringrazio molto per la vostra attenzione.

 

[1]          Il presente studio è incompleto in re aspetti: Primo, necessita di avanzare e approfondirsi in diverse aree della precivilizzazione. Secondo, è fondamentale realizzare una descrizione fenomenologica della rottura psicologica all’interno dell’essere umano. E terzo, ricostruire l’immaginario trasferenziale corrispondente per riparare la breccia. Di questa ultima parte poniamo le basi negli ultimi paragrafi di questo scritto.