Juan Espinosa
Ricercatore spagnolo di storia, misticismo e psicologia sociale. Ha sviluppato diverse opere e libri su questi temi come "Il cuore del misticismo" e "Superare la vendetta".
Circa 10.000 anni fa, dall'Irlanda alla Cina, tutte le culture erano matriarcali. Queste culture erano egualitarie, pacifiche, orizzontali, collaborative, spirituali, senza strati sociali, con un'atmosfera di fratellanza. Alcune di queste culture continuarono il loro sviluppo per altri 6.000 anni fino, per esempio, alla civiltà di Creta. Questa civiltà fu l'ultima civiltà matriarcale dell'Occidente. Scomparve verso il 1500 a.C. con l'invasione degli Indoeuropei (Achei e Dori).
In quel momento storico, 10.000 anni fa, emerse una nuova forma di organizzazione sociale gerarchica, bellicosa, materialista e dominatrice (non solo dominatrice di altri ma anche al suo interno): il patriarcato. Questa forma ha dominato tutte le altre forme sociali attraverso la guerra, la violenza e lo sfruttamento. Ma queste culture erano anche in uno stato permanente di guerra e di lotta tra di loro. Così la violenza e la vendetta sono state generate come l'unico modo per risolvere i conflitti. Quelle aree del pianeta che non erano dominate da patriarcati conservarono un'altra spiritualità e un'altra forma di relazione e conservarono anche la riconciliazione come meccanismo personale e sociale di coesistenza e risoluzione dei conflitti (questo si può osservare ancora oggi nei processi di riconciliazione in Africa e Asia, il più noto è l'esempio del Sudafrica personificato da Mandela).
Oggi, in questo nostro momento storico, stiamo osservando il crollo del patriarcato. Questo crollo è inevitabile, non si può tornare indietro. Sta lasciando un vuoto e una crisi molto grande che dà la possibilità e apre il futuro a nuovi modi di strutturare la società. Una nuova atmosfera sociale emergerà e nuove strutture sostituiranno quelle vecchie.
Ma dobbiamo anche dire che molti degli aspetti sociali non hanno bisogno di essere ristrutturati. Perché impareremo che non abbiamo bisogno di dirigenti per proseguire nel futuro. Questo bisogno di leader è un modello patriarcale in cui i "superiori" o "eletti" guidano gli "inferiori" o "gregari". Questa è la radice della violenza e della vendetta. E stiamo cominciando a capire che per sviluppare la società in un futuro nuovo i dirigenti non sono necessari.
François Giorgi
Ha aderito al Movimento Umanista nel 1974 e da allora si è dedicato alla formazione di gruppi per l'educazione alla non violenza. Nel 1984, ha collaborato al lancio del Partito Umanista in Francia; dal 1990, ha viaggiato per 15 anni in Africa occidentale (Costa d'Avorio, Burkina Faso, Senegal) per sviluppare la nonviolenza e accompagnare attività umanitarie. Oggi collabora con il Movimento Umanista Universalista e partecipa al messaggio di Silo.
Buongiorno a tutti.
Sono molto felice di condividere questa tavola rotonda sul tema della vendetta e della riconciliazione con gli amici qui presenti, che mi hanno aiutato con i loro contributi e le loro riflessioni a progredire su questi temi.
Da tempo lavoro su questi temi e la mia partecipazione, oltre all'aspetto testimoniale, è anche una ricerca che ha lo scopo di capire quando e perché gli esseri umani hanno sviluppato questi comportamenti, che nel tempo si sono istituzionalizzati in un sistema.
Ma prima di tutto, vorrei raccontare un aneddoto che è stato decisivo per la mia comprensione e l'approfondimento dello spirito di vendetta.
Un amico, sapendo che sono di origine corsa, mi aveva regalato una serie televisiva chiamata Mafiosa. Avevo questa serie sul mio hard disk da un po' di tempo e una sera, non sapendo cosa fare, ho iniziato a guardarla e, uno dopo l'altro, sono arrivato all'ultimo episodio. In questo episodio la Mafiosa, capo del clan, viene catturata dal clan rivale e per umiliarla (in Corsica la vendetta non si compie sulle donne), le viene chiesto di salire su un tavolo e cantare davanti a tutti gli uomini del clan vincitore.
Lì ho avuto uno shock e una forte emozione mi ha commosso. Questa donna stava cantando una ninna nanna. Una ninna nanna che in Corsica è molto popolare e mia nonna mi cantava per addormentarmi. Questa ninna nanna racconta la storia di un padre che si è nascosto e non può vedere suo figlio, perché deve nascondersi sia dalla polizia che dalla vendetta, dopo aver commesso un delitto d'onore. Quando racconto questo aneddoto, l'emozione è sempre molto presente.
MI sono reso conto di una situazione personale che non avevo capito prima. Era il primo ricordo che avevo ed era tinto di spirito di vendetta. Quando si è bambini, non ci si fa troppe domande e le cose sono come le presenta l'ambiente che ci circonda. Ho capito allora che avevo "questa sensazione di essere in qualcosa che non potevo nominare" che è lo spirito di vendetta. Fin dall'infanzia, ero stato immerso in un certo colore e qualsiasi cosa facessi, e in modo involontario, questo colore riappariva in diversi aspetti del mio comportamento.
Come uscire da questa situazione? Uscire da questa situazione era capire e riconciliarsi, non solo con gli aneddoti della propria vita, ma anche con la propria cultura e i valori che sono alla base di tutti i nostri comportamenti.
A questo punto, il contributo di Luz Jahnen ci permette di capire con precisione i meccanismi psicologici che innescano lo spirito e l'atto di vendetta. Comprendiamo molto bene questa risposta che la coscienza dà nel mondo per ristabilire lo squilibrio, subito da un'aggressione o una paura, il danno al sé individuale e amplificato ai nostri cari ecc.
Nel suo contributo Luz descrive chiaramente il processo di istituzionalizzazione di questo comportamento.
A questo punto mi si presentano due domande:
- Quando la coscienza dell'essere umano comincia a dare questa risposta nel mondo?
- Sapendo che la funzione della coscienza è quella di dare risposte che ci permettano di comprendere e integrare i contenuti psichici, perché non riesce a dare un altro tipo di risposta?
Poi mi sono ricordato di una conversazione tra Silo e degli amici a Grotte, quando ha detto: "È iniziato molto tempo fa, molti secoli fa".
Il processo evolutivo dello psichismo al servizio della vita ha richiesto molto tempo, soprattutto per quanto riguarda l'acquisizione dell'immaginazione, la possibilità di proiettarsi nel tempo e nel futuro. Proiettandosi nel futuro, l'essere umano prende coscienza della sua finezza, e proprio quando appare questa funzione della coscienza l'essere umano comincia a sviluppare questo comportamento. Perché la vendetta è un atto intenzionale, un atto proiettato nel futuro. Il detto popolare ci ricorda che "la vendetta è un piatto che va servito freddo".
Ma perché la coscienza non dà un'altra risposta?
Di fronte a un pericolo che ci minaccia, possiamo osservare due tipi di risposta, la fuga o il confronto. Sono reazioni molto istintive. L'istinto di preservare la nostra integrità fisica. Naturalmente possiamo osservare queste risposte anche negli animali. Ma nell'essere umano c'è anche un atto intenzionale, l'atto di vendetta.
Secondo la mia interpretazione, la sofferenza causata dal pericolo o dalla paura viene registrata nella memoria, per gli animali è lo stesso, però per l'essere umano, poiché il suo psichismo ha questo nuovo tempo di coscienza, quando questa sofferenza o questa paura si riattualizza in lui, metterà la sua immaginazione al servizio della sua protezione. Per questo immaginerà degli atti utili a eliminare questi pericoli. Lì nasce l'atto di vendetta. Proietterà queste immagini di protezione e conservazione dell'ambiente.
È un errore nella risposta della coscienza, ma in quei tempi lontani non c'erano altre possibilità.
Oggi, grazie a questa immaginazione, gli esseri umani stanno umanizzando se stessi e le loro relazioni, ma il trasfondo della vendetta è ancora lì e si manifesta in molti aspetti del nostro comportamento senza che ci facciamo caso. Uscire dalla vendetta è un nuovo processo di apprendimento che l'essere umano dovrà compiere.
Nel messaggio di Silo, possiamo leggere ne Il Cammino: "Impara a resistere alla violenza che c'è in te e fuori di te", si tratta proprio di questo.
Roberta Consilvio
Italiana, 46 anni, è insegnante di sostegno nella scuola pubblica. Ha una formazione musicale come pianista ed è psicologa clinica.
Dal 1997 nel Movimento Umanista a Torino, è stata redattrice del giornale "Fatti Nostri", ha tenuto corsi di italiano per stranieri ed è stata formatrice nei progetti di Appoggio Umano in Guinea-Conakry.
Dal 2004, per otto anni ha fatto parte della commissione organizzativa del Parco di Studio e Riflessione di Attigliano (TR), progetto mondiale lanciato da Silo per la costruzione di luoghi dedicati all’esplorazione delle possibilità di sviluppo mentale dell’essere umano.
Dal 2005 è membro del Centro Studi Umanista “Salvatore Puledda” di Roma, dedicandosi allo studio e alla divulgazione dei temi dell'Umanesimo Universalista attraverso numerosi corsi, seminari, conferenze e l'organizzazione dei Simposi Internazionali del Centro Mondiale di Studi Umanista.
Negli ultimi 10 anni ha iniziato un percorso di meditazione seguendo i passi della Disciplina Mentale così come elaborata da Silo, che considera un maestro e una guida. Si sforza di orientare la propria vita verso la coerenza e la compassione.
MITI, LEGGI E VENDETTA
Il mio intervento si focalizza sulle credenze alla base della vendetta, riscontrabili nei miti religiosi e nell’ordinamento giuridico dei popoli che hanno gettato le basi della civiltà occidentale attuale. La vendetta è la motivazione più potente per la violenza, e la ragione risiede nelle credenze profonde che ancora persistono nel trasfondo psico-sociale della nostra società. Queste credenze sono nate in seno alle religioni che sono state il sostrato culturale dell’Occidente: dalle religioni mesopotamiche fino a quella greco-romana, soppiantate tutte dal cristianesimo. A rafforzare queste credenze profonde alla base della vendetta vi sono gli ordinamenti giuridici, cioè i modi in cui ogni società ha amministrato la giustizia, o meglio una vendetta delimitata e definita in tutti i suoi dettagli.
Tra i miti più antichi in cui troviamo la vendetta c’è l’Epopea di Gilgamesh, poema epico scritto dai Sumeri intorno al 2500 prima dell’era volgare e poi trascritto in diverse lingue mesopotamiche, segno che quest’epica era di forte ispirazione per molti popoli. L’Epopea racconta le imprese di Gilgamesh, semidio re della città di Uruk, che attraverso le sue avventure vuole conquistare l’onore di una fama eterna: sfida perciò gli dèi uccidendo un essere divino. È proprio questa sfida a suscitare la vendetta della dea Ishtar su Gilgamesh. Vi è inoltre un episodio in cui l’amico di Gilgamesh, Enkidu, sarà punito dagli dèi con la morte. La vendetta e la punizione esemplare pongono rimedio all’oltraggio del protagonista che ha osato sfidare gli dèi, cioè l’ordine costituito, e a rimarcare quindi una gerarchia precisa che pone Gilgamesh, in parte umano, sotto le divinità.
I popoli mesopotamici conoscevano molto bene l’astronomia e l’astrologia. Gli dèi abitavano sulle stelle ma anche nei templi al centro delle città di cui erano protettori: vegliavano sulla vita degli umani, regolandola a livello sociale. Le leggi sono veicolate dagli dèi, dal Codice di Hammurabi fino alle Tavole di Mosè. Se qualcuno, sulla Terra, avesse sfidato l’ordine costituito fondato sulle leggi divine, commettendo omicidio, sacrilegio, furto, avrebbe rotto l’equilibrio che le divinità reggevano. Questo equilibrio doveva essere quindi compensato da un’azione uguale e contraria, cioè l’atto violento avrebbe dovuto ritorcersi su chi l’aveva prodotto: da qui la credenza di base della vendetta “se ti provoco la stessa sofferenza che ho subito, allora il disequilibrio sarà compensato e l’ordine divino ripristinato”. Così in cielo come in Terra, diranno più tardi altri credenti.
A sua volta la credenza di dover riequilibrare un atto violento si basa sulla credenza più antica che il mondo sia frutto di due forze contrapposte: il Caos amorfo, ciò che esisteva prima dell’Esistente, e l’Ordine Cosmico creato dagli dèi quando crearono il mondo secondo un ordine stabilito all’inizio e vigente per sempre. Perciò è molto importante che qualsiasi rottura di questo ordine venga compensata ristabilendo l’equilibrio precedente, perché in gioco c’è la stessa esistenza dell’universo in quanto prodotto del divino. In un gioco di specchi, dove ciò che succede a destra accade anche a sinistra, ciò che viene rotto da un lato deve essere rotto anche dall’altro lato, e la stessa sofferenza subita diventa punizione da infliggere.
Questa visione dualistica del mondo verrà assorbita dal cristianesimo, in cui addirittura l’aldilà viene frammentato in due luoghi distinti: l’Inferno della punizione eterna dei “cattivi” e il Paradiso dei “buoni”, cui si aggiungerà nel Medioevo il Purgatorio, metafora di una punizione più lieve.
Accenno qui solamente al carattere vendicativo degli dèi greco-romani, che riprendono le forme e le caratteristiche psicologiche degli umani. È importante l’Orestea di Eschilo, una trilogia di tragedie in cui la vendetta è il tema centrale: alla catena degli omicidi delle vendette private, si contrappone l’introduzione del tribunale pubblico della Grecia dell’epoca (Eschilo scrive nel 458 prima dell’era volgare), per cui il processo e la punizione del colpevole sono a carico della società (dietro l’intervento della dea Atena), interrompendo così la catena potenzialmente infinita della vendetta arcaica.
Anche il Dio ebraico dell’Antico Testamento è un dio vendicativo e il popolo ebraico si chiede continuamente che cosa ha fatto o cosa non dovrebbe fare per meritare la vendetta divina. Cristo è quindi la novità più grande in campo religioso, poiché afferma “a chi ti percuote sulla guancia, tu porgi anche l’altra”, introducendo in modo evidente il perdono come alternativa alla legge del taglione.
Vorrei evidenziare alcuni aspetti legati all’ordinamento giuridico che fanno parte delle credenze a favore della vendetta. Nel Codice di Hammurabi del 1750 prima dell’era volgare, il re babilonese presenta al dio Shamash, dio del Sole e della giustizia, le leggi da lui emanate affinché ne convalidi l’autorità. Nel Codice si regolamentano molte situazioni di vita quali violenze fisiche, omicidi, furti, danneggiamenti, e molte altre legate alla società babilonese, amministrate secondo la legge del taglione (occhio per occhio, dente per dente, come appare nella Bibbia) e con punizioni definite secondo la classe sociale del colpevole e del danneggiato. Ritroviamo quindi qui l’importanza della gerarchia sociale in cui i diritti civili sono distribuiti secondo la ricchezza e lo status: più si è in basso nella scala sociale, più la giustizia-vendetta colpirà in modo duro e inesorabile, poiché con il proprio reato si è attentato all’ordine sociale stesso. È da citare la presenza del perdono, come possibile alternativa alla punizione, in poche situazioni definite. La pena di morte è menzionata molte volte.
Facendo un salto di secoli vorrei puntare l’attenzione sul giurista e filosofo Cesare Beccaria, un illuminista italiano che nel 1764 pubblica Dei delitti e delle pene, un breve saggio in cui denuncia la situazione caotica della giustizia penale dell’epoca e ribadisce il principio della proporzionalità della pena secondo il reato commesso. Prende posizione contro la tortura, giudicata disumana, e contro la pena di morte: poiché la giustizia è amministrata dallo Stato, che vigila sui diritti di tutti i cittadini, lo Stato non può uccidere nessuno altrimenti commetterebbe a sua volta un reato. Sono passati circa 250 anni e ancora sul nostro pianeta molti Stati utilizzano la pena di morte. Solo nel 2017 l’Italia ha emanato una legge precisa contro la tortura. Beccaria ha cominciato a mettere in discussione alcune credenze, ma molto c’è ancora da fare.
Da ultimo vorrei citare Thomas Galli, ex direttore di un penitenziario tedesco, che, con dati statistici alla mano, mette in dubbio l’utilità, per lo Stato e per l’individuo, del sistema carcerario così com’è oggi, ipotizzando una società senza prigioni chiuse, ma con luoghi adatti a favorire la riparazione attiva dei danni arrecati e la responsabilizzazione dei colpevoli, nell’ottica di una vera riabilitazione personale e sociale.
Con gli ultimi due esempi vorrei aprire il discorso alla speranza di un cambiamento di sensibilità che si traduca nella messa in discussione delle credenze profonde che hanno contrassegnato la storia della civiltà occidentale. Solo attraverso la consapevolezza di quanto esse stiano ancora influenzando il nostro comportamento, potremo decidere di scegliere qualcosa di diverso dalla vendetta: il perdono o meglio ancora la riconciliazione. Quando scopriremo che nessuna vendetta può compensare ciò che riteniamo di aver subito, ma che è opportuna un’ottica riparatoria con lo sguardo puntato al futuro, al cambiamento di ciò che è stato, verso una realtà diversa in cui prevale la costruzione e non la distruzione, allora scopriremo che ci saremo allontanati un passo di più dalla vendetta e dalle sue devastanti conseguenze.
Luz Jahnen
Umanista tedesco, ricercatore sul tema della riconciliazione, autore della monografia "Vendetta, violenza e riconciliazione".
Ringrazio gli amici e gli oratori precedenti per aver delineato il nostro tema, che non è solo interessante ma anche così importante. Non è facile mostrare la complessità e l'importanza dell'argomento in poche frasi. Ma cercherò almeno di farlo:
Mi chiamo Luz Jahnen, ho 60 anni e sono nato in Germania. Crescere con genitori e un'intera generazione di genitori che essenzialmente potevano solo rimanere in silenzio sulla guerra che hanno vissuto e combattuto, sull'odio razziale e il genocidio che hanno vissuto o addirittura sostenuto... E in relazione a questo, vedere all'età di 14 anni le prime immagini cinematografiche dei campi di concentramento... mi ha fatto - molto brevemente - cercare dei modi per superare la violenza umana. Mi riferisco alla violenza umana in tutte le sue forme: fisica, psicologica, religiosa, economica, razziale.....
Nonostante tutta la nostra sensibilità personale o il rifiuto involontario di varie forme di violenza, siamo ancora piuttosto ciechi di fronte ad essa. Come se dovessimo riuscire a vedere la farina nel nostro pane quotidiano.
Provo a riassumere: c'è un meccanismo in noi umani, nella nostra coscienza, che vuole rispondere a una violazione del nostro ego con la violenza: la violazione del mio corpo, della mia privacy, della mia proprietà, della mia famiglia, della mia nazione, della mia squadra di calcio... Questo meccanismo di vendetta nella nostra coscienza è molto, molto vecchio e profondamente radicato, a livello forse quasi istintivo.
La cultura globale dominante in questo momento storico è la cultura occidentale. E un pilastro di questa cultura è la violenza e la vendetta. Si tratta, quindi, di un meccanismo profondamente radicato in noi come individui, che è, inoltre, parte integrante della nostra cultura.
Questa cultura non avrà l'opportunità di rinnovarsi, di trasformarsi nella prossima crisi, perché le mancano gli elementi per farlo. È nata dalla violenza, ha fatto della violenza il suo pilastro e, pertanto, non può mettere in discussione la violenza, può solo negarla o addirittura difenderla. La cultura occidentale conosce solo vincitori e vinti, non sa come risolvere i conflitti andando alle loro radici e cercando la riconciliazione interiore. Purtroppo, non c'è abbastanza tempo per illustrarvi quanto la nostra vita quotidiana e la nostra società siano permeate dalla cultura della violenza e della vendetta: dal nostro intrattenimento cinematografico quotidiano, o la nostra gestione personale dei conflitti nelle nostre relazioni, fino alle basi del nostro sistema giudiziario, all'insano armamentismo e alla minaccia permanente di bombe nucleari, e al fatto che anche nel XXI secolo - cioè adesso e oggi - gli esseri umani stanno ancora facendo guerre su questo pianeta.
Che cosa abbiamo per contrastare questa vecchia cultura decadente, che non ci serve più in futuro?
Il nostro bisogno personale e profondamente sentito e la comprensione di una nuova cultura. Una nuova cultura che risponda al conflitto con l'integrazione consapevole, la comprensione profonda e la riconciliazione interiore. Una cultura non violenta di riconciliazione interiore, a partire dalle relazioni personali fino a quelle tra popoli e stati. Questo è il punto di partenza. Dare a questa nuova cultura universale una base solida affinché tutti i popoli possano trovare un posto in essa è un compito grande e senza dubbio molto urgente.
Ma: il vortice sempre più veloce di problemi e conflitti globali e locali e le conseguenti esplosioni di violenza avranno un effetto più che frustrante su molte persone. Alcuni o molti di noi che hanno lottato o vogliono lottare per un mondo più umano saranno tentati di rassegnarsi alla propria impotenza. E qui forse vale la pena menzionare più di una volta: il nostro rifiuto di ogni violenza, il nostro desiderio di pace interiore ed esteriore, il nostro desiderio di un nuovo modo di affrontare i conflitti, il nostro lavoro per costruire una cultura della riconciliazione è parte integrante della nostra visione del mondo, del destino dell'essere umano. Fa parte di ciò che ci sembra essere una vita che abbia un senso. È profondamente coerente con i nostri migliori sentimenti per noi stessi e per gli altri. Facciamo quello che facciamo perché crediamo che sia la cosa giusta da fare. Non dipende dal successo o dal fallimento momentaneo. E se è così, allora non smetteremo in futuro di nominare, parlare e condannare qualsiasi violenza che le persone vivono vicino a noi o nell'angolo apparentemente più lontano della nostra terra. Le nostre sorelle e i nostri fratelli hanno bisogno di questo sostegno, come anche noi contiamo sul loro aiuto quando ci troviamo in situazioni simili. Grazie mille.